Con il termine demenza si indica una malattia progressiva e cronica che comporta la compromissione globale delle funzioni cognitive (quali la memoria, il ragionamento, il linguaggio, la capacità di orientarsi o di svolgere compiti motori complessi), tale da pregiudicare la possibilità di una vita autonoma soddisfacente. Ai sintomi descritti si accompagnano quasi sempre alterazioni della personalità e del comportamento che possono essere di entità piuttosto varia nel singolo paziente.
La demenza è una malattia che coinvolge la persona nella sua globalità e, nell’evoluzione della stessa, impegna sempre più i familiari nell’assistenza e nella custodia della persona malata.
Proprio per l’impatto che la demenza ha sul malato, sul familiare e sul sistema familiare stesso, viene definita come malattia familiare.
Secondo una stima dell’associazione Alzheimer Italia (2015), dei circa 1.400.000 casi di malati, circa l’80% sono assistiti direttamente da un familiare. Il termine caregiver si riferisce a tutti i familiari che assistono un loro congiunto ammalato e/o disabile, riferendosi dunque nello specifico anche alle persone che si prendono cura di un malato colpito da demenza. Il compito del caregiver è quello, all’interno del nucleo familiare di appartenenza, di farsi carico del benessere della persona che necessita di cure “in una condizione di momentanea o permanente difficoltà” (Rossi, 2006).
L’impatto della demenza sul caregiver è stato definito “caregiver burden” ed esprime l’impatto complessivo delle esigenze fisiche, psicologiche e sociali nel fornire assistenza.
Gli effetti dell’assistenza sulla vita del caregiver sono rilevanti e vanno dall’ambito professionale ad un ambito più strettamente personale. Il significato soggettivo del percorso assistenziale, derivante dall’insieme di emozioni, sensazioni e sentimenti correlati al mutamento, alla perdita e al lento affievolirsi della relazione con una figura significativa, si traduce spesso in frustrazione e paura, forme depressive, ansia, insonnia e può essere accompagnato da vissuti di rinuncia e svuotamento emotivo, dolore e impotenza e da sentimenti contraddittori di collera, colpa ed eccessivo coinvolgimento. Il carico oggettivo implica sacrifici a livello economico, diminuzione dell’efficienza in ambito lavorativo, spazi e tempi ridotti per sé e per la famiglia, ritiro sociale e sensazione di non riuscire a mantenere l’abituale standard di qualità di vita.
La combinazione di sforzo fisico e psicologico che la cura di un malato di demenza richiede può determinare nel caregiver un vero e proprio deterioramento della salute generale, fino a renderlo una “seconda vittima” delle patologie invalidanti che colpiscono l’anziano e, in quanto tale, a sua volta bisognoso di assistenza.
Secondo alcuni studi, particolarmente a rischio è il coniuge. Chi cura il coniuge con demenza ha il più alto indice di stress rispetto a qualsiasi altra relazione assistenziale, più elevato negli ultra sessantacinquenni rispetto ai più giovani e, col trascorrere del tempo, spesso diventa impossibile proseguire l’assistenza a domicilio per il sopravvenire anche di fasi di malattia del familiare caregiver (Taccani, 1994). In generale, il caregiver della persona con demenza ancora oggi subisce la fatica, l’isolamento sociale, la riduzione della qualità della vita e la compromissione delle relazioni familiari Si stima che più del 50 % dei caregivers familiari è a rischio di depressione, presentano inoltre ansia, insonnia, difficoltà a concentrarsi sul lavoro; essi sono a più alto rischio di ospedalizzazione, usano una maggiore quota di farmaci ed in particolare di psicofarmaci rispetto alla popolazione generale
E’ essenziale determinare il livello, il tipo e la causa del “caregiver burden” per ottimizzare tutti gli interventi (psicologici, sociali, educativi e farmacologici) volti a ridurlo.
Interventi di aiuto rivolti al caregiver possono avere una positiva ricaduta anche sul suo rapporto con il familiare malato e sulla sua qualità di vita. In tal senso sono necessari supporti mirati allo specifico disagio emerso, volti a dare sollievo di tipo soggettivo ed emotivo. Da una parte si rendono necessarie attività di coinvolgimento del malato che, al domicilio o in strutture adeguate (es. centri diurni specializzati),
alleggeriscano l’accudimento fisico da parte del caregiver. Parallelamente interventi di aiuto psicologico, quali percorsi di sostegno psicologico individuale, gruppi di auto-mutuo aiuto, etc., possono permettere al familiare di elaborare i vissuti depressivi correlati al caregiving, riattivando le risorse di personalità presenti e favorendo in tal modo una maggior padronanza della situazione stessa e quindi un maggior senso di auto-efficacia.
Appare dunque fondamentale che il caregiver ricordi sempre di avere cura di se stesso per non esaurire le risorse emotive e fisiche nell’interesse oltre che proprio anche del familiare malato.